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domenica 8 marzo 2015

* condivido interessante nota *


Spero sia di vostro interesse. A me é sembrata magnifica.
Un saluto a tutte
Lucia

IN ONORE DI TUTTE LE DONNE DI TUTTI I TEMPI
NELLA ROMA REPUBBLICANA LA PIÙ GRANDE E CLAMOROSA MANIFESTAZIONE FEMMINISTA DELLA STORIA
Roma, 195 a.C -Sotto la pressione di un travolgente movimento femminista, capeggiato dalle matrone, i magistrati romani, Inter bellorum magnorum curas, sono costretti a convocare i “Comitia tributa” per discutere la “Questione delle donne” che chiedono l’abrogazione della “lex Oppia”. Esse rivendicano la libertà di muoversi liberamente dentro e fuori Roma andando in carrozza a pariglia, di poter essere raffinate, eleganti, di indossare monili d’oro e ornamenti, e vestire secondo il loro gusto ( la raffinatezza, i monili, gli ornamenti: queste sono le insegne delle donne, di queste godono e si vantano e che chiamiamo eleganza femminile”, postilla il trib. Lucio Valerio nel difendere la legge abrogativa) (T. Livio, Ab Urbe condita, Libri XXXIV Periocha).

Da alcuni anni le donne romane manifestano insofferenza per le limitazioni imposte ad esse dalla “lex Oppia”, proposta in Senato nel 215 dal tribuno della plebe Caio Oppio al tempo della 2^ guerra punica. In base a questa legge suntuaria, approvata in un periodo in cui lo Stato si trovava in gravissime difficoltà economiche, nessuna donna poteva possedere più di mezza oncia d’oro (gr. 13,644), non doveva indossare vestiti di colori sgargianti (in pratica di porpora, che costava un occhio), non poteva circolare in carrozze tirate da una pariglia di cavalli a Roma come in altre città o in un raggio di mille passi da esse (km. 1,479). Dopo 20 anni la situazione è totalmente cambiata, lo Stato è fiorente e diffuso è il benessere dei cittadini, pertanto le restrizioni poste dalla l. Oppia non si giustificano più. Le donne riescono a creare un movimento di opinione che induce due tribuni della plebe a proporre al popolo l’abrogazione della legge. Fieri avversari dell’abrogazione sono i tribuni Marco e Giunio Bruto, che si avvalgono del “Ius intercessionis” (diritto di veto per impedire l’abrogazione) e il console M. Porcio Catone.


Nel giorno fissato per la presentazione della legge d’abrogazione, il Campidoglio si riempie di uomini favorevoli o contrari, mentre le donne – “che nessuna autorità, nessun senso del pudore, nessun ordine dei mariti può trattenere in casa”, occupano tutte le strade e le vie di accesso al Foro Romano, dove si riunisce l’Assemblea comiziale, le sbarrano ,tumultuano e chiedono a gran voce l’abrogazione della l. Oppia. Il movimento femminista si va ingrossando man mano che si avvicina il giorno della votazione. Contro le manifestazioni delle donne, tuona Catone ammonendo gli uomini a impedire quella che gli sembra una rivoluzione: “Noi lasciamo che le donne ormai si occupino anche di politica, che prendano parte alla vita del foro, alle pubbliche riunioni, alle elezioni e si spingono ora nelle vie e nei crocicchi a difendere la proposta dei tribuni”. In fondo, dice Catone, che cosa vogliono le donne? “La libertà, o per essere più chiari, la licenza in tutti i campi. Perdinci, se consentirete loro di strapparvi una concessione dietro l’altra e di essere uguali agli uomini, quando saranno vostre pari, saranno a voi superiori”.

Il giorno successivo, quando è prevista la votazione, le donne romane ricevono i rinforzi delle donne dei paesi circonvicini; si muovono anche le donne di bassa condizione che affluiscono dai mercati al centro della Città. Con una audacia fuori del comune, circondano le case dei Bruti, e – incredibile a dirsi – violano la “sacrosanctitas” di cui godono i tribuni della plebe, minacciando di non togliere l’assedio fino a quando non avranno ritirato “l’intercessio”, Non potendo resistere a quella folla immensa e dai propositi alquanto bellicosi, alla fine cedono. Così, con voto unanime delle tribù la lex Oppia è cancellata dalle leges romane e mai più riproposta.

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