Sono sicura che vi piacerá
Lucia
Euphorbia tirucalli
I nomi popolari dicono molto: euforbia arborea indiana (può diventare un albero e non è affatto indiana, bensì dell’Africa Orientale e Meridionale, ma è stata piantata in tutte le zone del mondo con clima subtropicale arido), signora nuda (mai che si veda una foglia che sia tale, qualche volta tira fuori delle specie di stipole che presto cadono), albero delle matite (basta guardarla per capire) o arbusto del latte, questo perché come tutte le euforbie contiene del latice. Che in questo caso è abbondante e seriamente corrosivo e velenoso ma, ha scoperto l’americano Melvin Calvin (premio
Nobel per la chimica nel 1961 per i suoi studi sulla fotosintesi), potrebbe essere usato come alternativa al petrolio, con una resa di oltre 100 barili per ettaro. L’idea era supportata da alcune virtù di questa euforbia: cresce abbastanza rapidamente e, se sfalciata, ricaccia dalla base sino a 50 cm di vegetazione in una stagione, non è soggetta ad alcun parassita e, soprattutto, è tanto frugale da poter essere coltivata nei terreni marginali e semidesertici, non vocati all’agricoltura. L’idea della coltivazione per ottenere carburante è stata sperimentata dalla compagnia petrolifera nazionale brasiliana, che però ha abbandonato il progetto per una questione di sicurezza dei lavoratori: sfalciando la vegetazione e compiendo le operazioni di estrazione del latice possono avvenire incidenti per contatto, senza contare che l’esposizione a questa euforbia può essere la causa scatenante del linfoma di Burkitts, del carcinoma della faringe, della riattivazione del virus di Epstein-Barr e di altri gravi problemi di salute, in quanto agisce come immunosoppressore. Nonostante queste credenziali sinistre, nella medicina popolare di Brasile, India, Indonesia, Malabar Euphorbia tirucalli è considerata un rimedio contro tumori, verruche, asma, tosse, mal d’orecchi, nevralgie, reumatismi, mal di denti e persino la lebbra.
Chi vuole coltivare Euphorbia tirucalli per la forma davvero curiosa nonostante queste credenziali non proprio confortanti, ha gioco facile: terriccio sabbioso e povero, qualsiasi temperatura sopra allo zero di qualche grado, pieno sole (ma non gliene importa nulla di stare in mezz’ombra, e infatti il mio esemplare vive nel vano scale, con il sole che entra tutto il giorno in inverno, solo al tramonto nelle altre stagioni), pochissime annaffiature. Io la lascio praticamente all’asciutto da novembre ad aprile, poi gradualmente aumento le annaffiature per arrivare in estate ad una parca somministrazione ogni 7-10 giorni e non l’ho mai concimata neppure con un concime liquido per succulente, come adesso sarei tentata di fare. Unico accorgimento: tenere la pianta lontano da luoghi di passaggio o frequentati da bambini per evitare che le sue “matite” si spezzino liberando il latice pericoloso. Infine, la segnalazione di una varietà che si chiama ‘Firesticks’ (=‘Rosea’) ed è facile indovinare perché: invece che verde, se esposta al sole, all’apice delle “matite” assume una vistosa colorazione rosa corallo e rossa.
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