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martedì 24 gennaio 2012

FW: Cuento ........ Marianito e la chiamata

Vi ricordate del pittore Luis Napoli.... adesso mio figlio Gabriel nel suo negozio lo interesso a fare dei racconti.... va uno    Baci amiche spero vi piacia    M.R.C.



 Mia mamma leggeva, rideva e piangeva. Nell´innocenza d´un bambino di dieci anni, io non potevo capire quello che succedeva. Mio padre Antonio inaugurando il termino "golondrina" per terza volta aveva viaggiato in Argentina, facendo la raccolta grossa e fine, questo significava che al ritorno alla sua terra, tutti gli anni portava le lire sufficenti per comperare un "yeco" o una mucca, che rappresentava molto per l´economia della famiglia. In questo, suo terzo viaggio, aveva comprato un terreno nel quartiere "La Trocha de Pergamino", e con l´aiuto dei suoi compaesani fare i mattoni e alzare la stanza e una cucina.
Raccontano che cuando mette la rama, Antonio si inginocchio, prima bacio la terra e guardando in cielo diceva : "Grazie mio Dio adesso chiameró a mio figlio e alla mia moglie". Tutto quello,, rappresentava quella lettera, che Maria, mia mamma, stringeva tra le mani, e che dopo passava di mano en mano per tutto il luogo e dicevano: "Maria se ne va alla America" " La cumare si fa americana".
Al altro giorno cominciarono ad accomodare i mobili e tutto quello che si poteva conservare e non rovinarsi in tre o quattro anni , tempo sufficente per "fare l´America" e ritornare, cosi fu distribuyendo tutto quello imperituro " A comare Grazia, le olive, a cumpa Rividi, il frumento.....e fave, a Napoli cugine di Antonio"
E cosi le comare della mia mamma portarono tutto quello che non avevamo bisogno al ritornare. E i vicini ci aiutavano con i piccoli bagagli che portavamo per il viaggio. Cuando in un angolo misero il vecchio telaio, mia mamma prese il fuso, me lo da e dice: guardalo che se Santa Liberata mi manda una figlia, questo sará per lei. Questo arnese, lo usava la mia mamma.
La Vergine l´ascoltó ed a pochi anni la premio con Felisa " Folicha" che conserva questa sentimentale ereditá con la quale mia mamma lavorava nelle notte d´inverno, cantando, pregando o raccontando storie.
Circondando il tiepido " U Bayia" e quasi senza renderci conto arrivó il giorno della partenza.
Maria gia non rideva, ne leggeva, solo piangeva perche presentiva che se non poteva tornare, e doveva rimanere in quelle lontane e strane terre, morirebbe guardando  l´orizzonte e ricordando " il fiume, la serra la ruta il convento, la chiesa" o sia tutta quella contrada che la aveva fatto tanto felice ed anche soffrire tanto.
In quelli ultimi giorni alla sera si avvicinava il Vecchio Licalzi, che con suo "fischietto" suonava una vecchia canzone, che tutti ci sforzavamo per imparare.
Maria guardava ed accarezzava tutto, per portarlo fissato nella sua memoria, le pietre, la valle vista dalla soglia di casa sua " il balcone del cielo" come dopo lo battezzava mio amico Luigi Gualchi, pareva una bugia andarsene da quella grotta che tanto aveva odiato, non capiva perche si rattristava, se lei credeva che qualche giorno tornerebbe.
Ma il destino non ha voluto che fosse cosí......

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