Copio e incollo pari pari, lo scritto di Maria D'Alessando che ha partecipato allo stesso concorso di Vittoria.
Maria D'Alessandro ha vinto il Secondo Premio nella categoria Racconti. Lo pubblico dopo aver chiesto a Maria il permesso di farlo, e lei ha subito accettato di pubblicarlo sul terrazzo per tutte voi.
A me è piaciuto molto. E' un compendio di ricordi molto emotivi e descritti con buona memoria. Complimenti Maria D'Alessandro.
Ci piacerebbe conoscere anche quale è stato il primo premio, spero che, se Maria lo sa, ce lo mandi per poterlo leggere, anche se questa richiesta dovrei farla a Ida De Vincenzo che è parte della commissione organizzatrice, credo.
Ecco a voi le parole di Maria D'Alessandro:
Di incontri e addii
Devo
iniziare dicendo che sono nato in Italia, nella città di Smenamaro, incastonato
tra le montagne e il mare, negli anni fatidici dopo la seconda guerra mondiale,
l'evento principale che ha fatto a mio padre uno in più nel contingente dei
lavoratori, in base alla stagionalità delle colture, di un nuovo deposito di
carbone e di ferro. E fu così che saremmo diventati stranieri in paesi, a
malapena sapevamo il nome.
Allora
mi chiedo che cosa rende la mia mente a ricordare: il massiccio della Maiella:
Tempio che il sole adorava e dalla sua sommità indicando alle mie sorelle l’ora di andare a scuola e a mamma quando preparare lo stufato
e la pizza di mais per i lavoratori
Quella
comunione alla fine della giornata, mamma e noi
tre seduti intorno al fuoco mentre lei spianava la massa del pane,
allora ci dava dei pezzettini e le nostre mani copiavano le sue, in panetti
nella piastra di ferro come oferta al fuoco. Il cibo era pane e devozione.
Il
ricordo mi porta a un pacco avvolto in innumerovoli spire di filo molto spesso.
Mamma capi che suo fratello emigrato, molto giovane, negli Stati Uniti
d'America, lo aveva mandato. ¡Che bello sapeva dire “zio Alfio", tanto
come assaggiare i suoi cioccolatini!.
Di come
la terraza ci regalava a portata de mano ciliegie e fichi in profusione ogni
pomeriggio, dove avevamo giocato; io in realtà non mi ricordo quali giochi, sì,
la dolcezza dei fichi e la rotondità viola dei ciliegi maturi. Oppure quando,
la mamma baciava le mie lacrime ogni volta che cercavo di scendere al cortile
per incontrarla e finiva sempre rotolando su di loro.
Del
viaggio settimanale al mare in compagnia del zio Giuseppe, con un fucile a
tracolla, dovevamo attraversare la foresta tra i sentieri, in dove mamma
raccoglieva le lumache mentre noi in
gara per vedere chi scopriva la lumaca più grande; per arrivare a un mare amado y turchese,
circondato da ciottoli.
C’era
il pianterreno, con il recinto per alcune pecore e maiali. ¡Che bella la
giornata del freddo dicembre quando la nostra gente si riuniva per uccidere il
maiale! Eravamo in tanti come quando sono venuti a dire addio, ¡L'ultima volta
degli cugini tutti insieme!
Quel
giorno mi riporta a una lettera arrivata poco prima. Era papà che scriveva la
notizia del ricongiungimento familiare in un nuovo paese, generoso in risorse e
lavoro. Dove addiritura stava edificando una casa. Non aveva mai visto piangere
tanto a mamma.
Così
partimmo, della mano una dell’l'altra. La stazione ferroviaria e un mollo sono
state le pietre miliari che hanno annunciato il "arrivederci". Poco
dopo di salire le scale di una grande nave fu la partenza con una sirena che
coprì lamenti ovunque. Viaggio in cui invano ho cercato l'amico con chi giocava
fino a l’ultimo giorno.
Abbiamo
trovato la Argentina la mattina bella e soleggiata del 11 febbraio 1952, dove
imparammo a dire papà, con gente che aveva il desiderio da essere ricevuta per Eva
Peron, in fila interminabile di fronte al suo ministero, la previdenza sociale,
in cerca di medicine, macchina da cucire, mattoni.
Un
paese dove se mangiava, c’era lavoro nelle fabbriche tessili, e assieme a noi,
che eravamo parte dell’ultima ondata di immigrazione europea, i “cabecitas
negras” delle province interne. La Argentina di Mirta Legrand nota per i film
dei telefoni bianchi -ma oggi famosa per il suo pranzo in TV- e la schiena nuda
di Zully Moreno in "Dio ti benedica", del italiano Cesare Amadori.
Terra
nuova alla che ringrazio per la salute di mamma, il lavoro operaio de papà, la
lingua spagnola che in fretta imparavo, la che uso quando rinnego ma no quando
amo, e "L'Aleph" di Borges.
Maria D’Alessandro
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