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sabato 5 gennaio 2013

* Concorso Letterario Rotary Flores (Bs.As.) *


Copio e incollo pari pari,  lo scritto di Maria D'Alessando che ha partecipato allo stesso concorso di Vittoria.
Maria D'Alessandro ha vinto il Secondo Premio nella categoria Racconti.  Lo pubblico dopo aver chiesto a Maria il permesso di farlo, e lei ha subito accettato di pubblicarlo sul terrazzo per tutte voi.
A me è piaciuto molto. E' un compendio di ricordi molto emotivi e descritti con buona memoria. Complimenti Maria D'Alessandro.
Ci piacerebbe conoscere anche quale è stato il primo premio, spero che, se Maria lo sa, ce lo mandi per poterlo leggere, anche se questa richiesta dovrei farla a Ida De Vincenzo che è parte della commissione organizzatrice, credo.

Ecco a voi le parole di Maria D'Alessandro:



Di incontri e addii

Devo iniziare dicendo che sono nato in Italia, nella città di Smenamaro, incastonato tra le montagne e il mare, negli anni fatidici dopo la seconda guerra mondiale, l'evento principale che ha fatto a mio padre uno in più nel contingente dei lavoratori, in base alla stagionalità delle colture, di un nuovo deposito di carbone e di ferro. E fu così che saremmo diventati stranieri in paesi, a malapena sapevamo il nome.

Allora mi chiedo che cosa rende la mia mente a ricordare: il massiccio della Maiella: Tempio che il sole adorava e dalla sua sommità indicando alle mie  sorelle l’ora di andare a  scuola e a mamma quando preparare lo stufato e la pizza di mais per i lavoratori

Quella comunione alla fine della giornata, mamma e noi  tre seduti intorno al fuoco mentre lei spianava la massa del pane, allora ci dava dei pezzettini e le nostre mani copiavano le sue, in panetti nella piastra di ferro come oferta al fuoco. Il cibo era pane e devozione.

Il ricordo mi porta a un pacco avvolto in innumerovoli spire di filo molto spesso. Mamma capi che suo fratello emigrato, molto giovane, negli Stati Uniti d'America, lo aveva mandato. ¡Che bello sapeva dire “zio Alfio", tanto come assaggiare i suoi cioccolatini!.

Di come la terraza ci regalava a portata de mano ciliegie e fichi in profusione ogni pomeriggio, dove avevamo giocato; io in realtà non mi ricordo quali giochi, sì, la dolcezza dei fichi e la rotondità viola dei ciliegi maturi. Oppure quando, la mamma baciava le mie lacrime ogni volta che cercavo di scendere al cortile per incontrarla e finiva sempre rotolando su di loro.

Del viaggio settimanale al mare in compagnia del zio Giuseppe, con un fucile a tracolla, dovevamo attraversare la foresta tra i sentieri, in dove mamma raccoglieva le lumache  mentre noi in gara per vedere chi scopriva la lumaca più grande;  per arrivare a un mare amado y turchese, circondato da ciottoli.

C’era il pianterreno, con il recinto per alcune pecore e maiali. ¡Che bella la giornata del freddo dicembre quando la nostra gente si riuniva per uccidere il maiale! Eravamo in tanti come quando sono venuti a dire addio, ¡L'ultima volta degli cugini tutti insieme!

Quel giorno mi riporta a una lettera arrivata poco prima. Era papà che scriveva la notizia del ricongiungimento familiare in un nuovo paese, generoso in risorse e lavoro. Dove addiritura stava edificando una casa. Non aveva mai visto piangere tanto a mamma.

Così partimmo, della mano una dell’l'altra. La stazione ferroviaria e un mollo sono state le pietre miliari che hanno annunciato il "arrivederci". Poco dopo di salire le scale di una grande nave fu la partenza con una sirena che coprì lamenti ovunque. Viaggio in cui invano ho cercato l'amico con chi giocava fino a l’ultimo  giorno.

Abbiamo trovato la Argentina la mattina bella e soleggiata del 11 febbraio 1952, dove imparammo a dire papà, con gente che aveva il desiderio da essere ricevuta per Eva Peron, in fila interminabile di fronte al suo ministero, la previdenza sociale, in cerca di medicine, macchina da cucire, mattoni.

Un paese dove se mangiava, c’era lavoro nelle fabbriche tessili, e assieme a noi, che eravamo parte dell’ultima ondata di immigrazione europea, i “cabecitas negras” delle province interne. La Argentina di Mirta Legrand nota per i film dei telefoni bianchi -ma oggi famosa per il suo pranzo in TV- e la schiena nuda di Zully Moreno in "Dio ti benedica", del italiano Cesare Amadori.

Terra nuova alla che ringrazio per la salute di mamma, il lavoro operaio de papà, la lingua spagnola che in fretta imparavo, la che uso quando rinnego ma no quando amo, e "L'Aleph" di Borges.

                                                   Maria D’Alessandro




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