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giovedì 21 aprile 2011

*ricordi di una ragazzina emigrata*

Per non rendere i miei ricordi di bambina emigrata, una specie di romanzo, che come vi ho anticipato, dovrei pubblicare per capitoli, ho fatto un riassunto dei primissimi tempi. Il resto, se avessi tempo e voglia, potrei continuare a scriverlo, ma per ora mi fermo qui.

Cara Anna, la tua idea di parlare delle nostre impressioni, quelle di noi giovanissimi emigrati in queste terre del Sudamerica, l'ho trovata interessante e anche stimolante (spero che scriviate anche voi) perchè ci porta indietro nel tempo e ci fa ricordare momenti che ormai raramente si affacciano alla nostra memoria, per lo meno la mia. 

C'è mia sorella invece che ricorda molto spesso e con grande rammarico il suo distacco dal suo piccolo mondo, come pure le difficoltà e le incertezze che trovò arrivando qui. Lei ancora oggi, sogna i luoghi e le persone che frequentava quando era giovanetta in Italia.

Nell'esercizio di portare a galla momenti ormai troppo lontani, si intrecciano ricordi che si trovano da una parte e dall'altra dell'Oceano Atlantico che attraversammo per iniziare la nostra nuova vita.

Ricordo che alcune settimane prima di partire, ero a casa di una mia compagna di scuola e la sua mamma mi chiese cosa pensavo di questo lungo viaggio e di lasciare l'Italia. Io le risposi con molta determinazione che sarei tornata non appena fosse stato possibile, senza avere la minima cognizione di quello che mi aspettava. Poi, giorno dopo giorno, questa realtà la conobbi attraverso tutte le esperienze che man mano vivevo e scoprivo con grande interesse e curiosità. 

Per primo, ricordo il viaggio in treno per arrivare al porto dove la nave ci aspettava. Mia sorella dice che partimmo da Napoli, io ricordo che era da Genova... boh! (dovrò fare qualche ricerca per vedere chi di noi due ha ragione) :-) Lei dice che a Genova ci andammo solo per fare la visita medica, perchè bisognava essere perfettamente sani per venire qui, era uno dei requisiti per essere accettati in questo paese... In un secondo tempo, ad accettazione avvenuta, potevamo imbarcarci. Ora non potrei affermare se da Napoli o da Genova... qui la mia memoria fa cilecca.

Quel viaggio in treno è un ricordo molto triste. Rivedo mia madre seduta nello scompartimento e noi tre figli abbracciati a lei piangendo sconsolatamente, ma lei poco poteva fare per noi perchè anche lei piangeva... Forse lo scompartimento era illuminato, ma io lo ricordo buio e ostile, perche ci portava lontano, verso l'ignoto. Poi ci addormentammo... e dopo molte ore arrivammo a Genova (?).

La nostra nave aveva un nome strano. Non si chiamava Conte Grande, Augustus, ecc. che erano le navi piu importanti. La nostra era meno conosciuta, forse anche più piccola, ma era bella anche lei. Si chiamava Ugolino Vivaldi. A bordo, fra i passeggeri, c'erano molti italiani, ma anche tanti arabi. Per la prima volta vidi uomini vestiti con lunghe tuniche e avevano in mano una strana piccola coroncina  che non abbandonavano lungo tutta la giornata. Fra di loro però, c'era un bellissimo ragazzo, vestito all'europea, con abiti elegantissimi. Era molto ricco, non era un emigrante, ma un passeggero di prima classe. Il suo nome era Abdullah Abbas, ma a noi disse, in un difficile italiano, che la traduzione era Giuliano (!). Subito si innamorò di mia sorella e incominciò a corteggiarla, ma lei sembrava non accorgersene anche se apprezzava la sua compagnia.

Purtroppo il suo viaggio si concluse a Santos. Avrebbe poi proseguito per San Paolo dove la sua famiglia aveva una  fabbrica tessile. Prese il nostro indirizzo di Buenos Aires (quello dei miei zii, dove si alloggiava ancora mio padre che ci aspettava) e qualche tempo dopo scrisse (in brasiliano) una lettera dove chiedeva che mia sorella lo raggiungesse a S.Paolo. Questa proposta fu scartata subito dalla mia famiglia, perchè lei era troppo giovane. Penso che fu un errore rifiutare... ma chi può sapere cosa è meglio al momento di scegliere?

Arrivammo a Buenos Aires il 2 giugno del 1952. Era una giornata grigia, piovosa e molto confusa. Aspettavamo di scorgere mio padre in mezzo alla gente, aspettandoci al porto, ma lui non venne perchè era al lavoro. C'era invece una giovanissima cugina, appena ventenne, nata in Argentina, che ci portò in taxi fino alla casa dei miei zii. Lei si muoveva con sicurezza e io la guardavo con ammirazione, ma non ricordo molto altro di quei momenti.

A Buenos Aires tutto era difficile e complicato e per noi fu un inizio durissimo perche quello che avevamo trovato qui era lontanissimo da ciò che avevamo lasciato in Italia, sia economicamente, sia socialmente. Lì eravamo qualcuno, qui eravamo anonimi ed estranei in una grande città. Purtroppo mio padre aveva sbagliato tutto. I soldi che aveva ricavato con la vendita di due case che avevamo in Italia, erano diventati molto pochi per il cambio sfavorevole del momento. Qui aveva comprato firmando delle cambiali e durante i primi tempi non fu facile pagarle e ogni volta, riunire quei soldi, era una situazione angosciante. Eravamo in un grande disagio economico e questa atmosfera ripercuoteva nella famiglia, e anche in me che, nonostante i miei pochi anni, riuscivo a capirne la gravità ed ero molto afflitta e preoccupata, forse anche spaventata da un futuro molto incerto.

Ma dall'altra parte c'era tutto il nuovo che scoprivo del mio quartiere e della città. Tutto mi incuriosiva e mi piaceva. Da pochi mesi funzionava la televisione (in Italia la TV sarebbe arrivata due anni dopo) e c'era un apparecchio proprio sistemato sulla porta di un bar che si chiamava "Il Piave". Sicuramente il propietario era italiano! La gente si fermava sul marciapiede per guardare la trasmissione dell'unico canale,  che era in bianco e nero, ovviamente. E a me tutto questo entusiasmava, come pure vedere i cartelli pubblicitari al neon, oppure quelli sul fronte di alcuni negozi fatti con dei lustrini che si muovevano con il vento e luccicavano attraendo l'attenzione. Poi i viaggi in centro su piccoli bus che oggi mi sembrano antediluviani! Si andava a cinema, ci portava il nostro cugino che era un giovanotto venuto qui prima di noi e già era un esperto cicerone. Mi ricordo di una fredda sera d'inverno, che andammo al cinema Opera, in pieno centro, nella famosa Av. Corrientes,  a vedere il film "La montagna di cristallo". Il soffitto del cinema-teatro era decorato con  tante stelline che luccicavano e sollevando lo sguardo era come se fossimo a cielo aperto. Ricordo la serata fredda, umida e nebbiosa, con i lampioni nelle strade che diffondevano una luce sfumata, circondate da un alone quasi magico. Queste sono immagini rimaste impresse nella mia memoria... chissà perchè...

Tutto questo mi piaceva, perciò bilanciava il senso di insicurezza che aleggiava in famiglia. Intanto avevo fatto già qualche amichetta, vicina di casa, e con lei incominciai a pronunciare le prime parole in spagnolo, che imparai in pochissimi mesi. Avevo fretta di tornare a studiare, ma  il mio inserimento nella scuola non fu facile e nemmeno veloce e questo mi dava un grande senso di inferiorità e di frustrazione. Comunque alla fine di novembre, sei mesi dopo il nostro arrivo, stavo già dando il mio esame da privatista per convalidare gli studi fatti in Italia. Ricordo che mi ci accompagnò una giovane vicina di casa, la signora Dina,  che si era sposata da poco e che gradiva la mia compagnia quando suo marito era al lavoro. Mia madre era troppo spaesata per occuparsi dei miei studi e sentivo, fra l'altro, che fra lei e mio padre non c'era armonia. A casa della Dina leggevo il giornale e dopo la morte di Eva Peron che avvenne due mesi dopo il nostro arrivo, mi interessavo delle notizie che si riferivano a lei e dopo ritagliavo le sue foto che nel mio immaginario di bambina, suscitavano forse alcune fantasie.

Siccome le scuole iniziavano a marzo, intanto prendevo alcune lezioni a casa di alcuni amici di mio padre, la cui figlia era maestra. Per andare fino alla loro casa, dovevo prendere due bus diversi e ora mi domando come  mai una bambina della mia età, arrivata da poco da un paese lontano, poteva fare un viaggio del genere, da sola, nella sconfinata Buenos Aires. Si vede che ero piuttosto sveglia. Ma la città di allora era rassicurante, mica come oggi che è piena di pericoli...

Con l'Italia ero rimasta in contatto perchè mi scrivevo spesso con una mia cugina, della mia stessa età,  e con Liliana, la mia amica del cuore e compagna di classe.
Questa corrispondenza durò alcuni anni, ma non ricordo come, piano piano, si diradò e si estinse...
Leggevo La Domenica del Corriere, rivista che insieme a Oggi, Tempo, L'Europeo, entrava nella nostra casa. Un'amica italiana ce le prestava. Questo mi permise rimanere sempre in contatto con l'Italia e con la lingua che non dimenticai mai e che grazie a ciò, trovai impiego in una grande ditta italiana in Argentina, dove lavorai, durante più di dieci anni, in qualità di segretaria bilingue italiano-spagnolo, e dove rimasi fino alla nascita del mio primo figlio.

Ricordando quei tempi sento una grande tenerezza verso quella bambina che ero, e che tutto quello che riuscii a fare in seguito, fu frutto del mio sforzo personale, senza l'aiuto e la protezione dei grandi che, presi a loro volta dalle proprie difficoltà, non avevano la possibilità di guidarmi, perciò mi arrangiavo da sola. Nonostante, sono molto orgogliosa di tutte le cose che fui capace di realizzare con intelligenza e intraprendenza e che oggi ricordo, non senza meraviglia.

Tutto sommato per me, l'emigrazione è stata un'esperienza molto positiva. E mai mi chiedo come sarebbe stata la mia vita se fossi rimasta in Italia.
Lucia

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